Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

Elios, il Sole.

Accanto ad Apollo dio solare per eccellenza, i Greci onoravano anche un altro dio che rappresentava il sole in modo più diretto: Elios. Questi, però, a differenza di Apollo, dio di una luminosità ideale, di una solarità dello spirito, era semplicemente una personificazione dell'astro del giorno, e quindi rimaneva una divinità minore. Secondo il mito era figlio di due titani, Iperione e Tea. Ogni mattino, sul suo carro d'oro, fabbricato da Efesto, tirato da quattro focosi destrieri, si alzava dai confini dell'oceano, a oriente, e percorreva poi tutta la volta celeste per tuffarsi nuovamente nell'oceano, a sera, dalla parte opposta. Durante la notte tornava al punto di partenza per mare, navigando in una barca d'oro che pure era opera di Efesto. Si raccontava che nelle pianure della Sicilia, possedesse una mandria di settecento buoi, i quali certamente rappresentavano l'antico anno solare, diviso in trecentocinquanta giorni e trecentocinquanta notti.


L'oceanina Climene, divenuta sua moglie, gli diede sette figlie, le Elìadi, ossia le figlie di Elios, e un figlio, Fetonte. Un giorno questo giovinetto venne a contesa con un coetaneo, Epafo, figlio di Zeus e di Io, il quale, orgoglioso della sua origine divina, si riteneva superiore a Fetonte e negava che egli fosse figlio del Sole. Fetonte, per dimostrarglielo, scongiurò il padre di lasciargli guidare, per un giorno, il carro solare, e tanto fece che Elios glielo concesse, tanto più che anche la madre lo desiderava. Il giovinetto, però, non riuscì a padroneggiare i quattro cavalli, che gli presero la mano correndo così vicini alla terra che tutta la Libia inaridì e divenne un deserto mentre gli Etiopi, mezzo abbrustoliti, si fecero tutti neri. Zeus, per evitare un disastro peggiore, abbattè con un fulmine l'incauto Fetonte facendolo precipitare nel fiume Eridano, il Po. Le sette Eliadi furono così addolorate per la morte del fratello che si trasformarono in pioppi, alberi che, ancor oggi, crescono numerosi sulle rive di quel fiume.


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