Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

La ricerca del Graal


Questa ricerca costituisce il momento conclusivo di tutto il ciclo bretone ed è prevista fin dagli inizi con l'istituzione della Tavola Rotonda: infatti il cavaliere che si siederà sul sedile Pericoloso sarà appunto colui che porterà a termine la ricerca del Graal. Anche questa grande avventura viene narrata in vari poemi e racconti, spesso in vario modo. Vengono riassunti qui i motivi fondamentali.

Dice la leggenda che, quando Giuda tradì Cristo, i soldati venuti ad arrestarlo trovarono il vaso in cui il Salvatore, durante l'ultima cena, aveva versato il vino per celebrare, per la prima volta, l'Eucaristia. Essi lo presero e lo portarono nella casa di Pilato, che se ne servì per lavarsi le mani nel rinunciare a giudicare Gesù.

Più tardi, dopo la crocifissione, Giuseppe d'Arimatea, che molto aveva amato Gesù, chiese a Pilato di poter dare sepoltura al corpo del Crocifisso, e, ottenuto il permesso, sempre nello stesso vaso raccolse alcune gocce di sangue che stillavano ancora dalle ferite del Redentore.

Dopo la Resurrezione, Giuseppe, accusato di avere fatto scomparire il corpo di Gesù, venne imprigionato in un sotterraneo e condannato a morire di fame; ma il Salvatore gli apparve recandogli il Sacro Vaso, nel quale egli trovò per molti anni un miracoloso alimento riuscendo così a sopravvivere.

Infine fu liberato da Tito e Vespasiano quando essi distrussero Gerusalemme, o, secondo altri, da Vespasiano dopo che questi, colpito dalla lebbra, fu risanato dal sacro lino con cui Veronica aveva asciugato il sudore dal volto di Cristo e sul quale era rimasta l'immagine di Lui.

Una notte Giuseppe udì una voce che gli comandava di andare a predicare il Vangelo in terre straniere facendosi accompagnare da quei suoi parenti che fossero disposti  a seguirlo e prendendo con sè il sacro vaso che lo aveva nutrito i prigionia. E così fu fatto. A Sarras, la città da cui ebbero origine i Saraceni, gli emigranti convertirono il re Evalac. Poi, giunti sulla riva del mare, il figlio di Giuseppe, il vescovo Giosefeo, stendendo la sua tunica sulle acque, creò una divina zattera sulla quale, attraverso il Mediterraneo e l'Oceano, giunsero in Gran Bretagna: il sacro vaso dava a tutti il nutrimento necessario.

In Gran Bretagna cominciò così a diffondersi il cristianesimo in grazia degli emigranti: Giosefeo aveva istituito per loro una Tavola, che fu la seconda dopo quella intorno a cui gli apostoli avevano consumato l'ultima Cena, alla quale tutti potevano saziarsi. In quella tavola vi era un sedile che doveva restare sempre vuoto, in ricordo di quello su cui si era seduto Cristo.

Ma un giorno alcuni di loro restarono senza cibo: erano coloro che avevano ceduto al peccato. Perchè non morissero di fame, il giovane Alano, nipote di Giuseppe, andò a pescare e tornò con un pesciolino che, messo accanto al vaso divino, divenne così grande da poter nutrire tutti i peccatori.

Da quel giorno Alano, ebbe il soprannome di Ricco Pescatore, e il sacro vaso fu chiamato il Graal, perchè dispensatore di grazie e a tutti gradito. Dopo la morte di Giuseppe, Giosefeo, suo figlio, rimase a capo della colonia, e a lui succedette Alano, il Ricco Pescatore. Questi si recò con i suoi nella Terra Lontana, dove, in grazia del Graal, guarì il re lebbroso Kalafes che si convertì al cristianesimo. E Kalafes fece costruire un castello per custodirvi il santo Graal: il Castello di Corbenico.

Giosuè, fratello di Alano, sposò la figlia di Kalafes, e ai suoi discendenti, chiamati tutti i re Ricchi Pescatori, fu affidata la custodia del Graal, che doveva rimanere a Corbenico, ignorato da tutti finchè un cavaliere purissimo non lo avesse scoperto.

Termina qui la prima parte della leggenda del Graal, che, secondo alcuni autori fu rivelata dal mago Merlino a  Uter Pandragone e, secondo altri, al re Artù. La seconda parte si ricollega alla leggenda di Lancillotto.



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