Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

Zeus e Promèteo

Abbattuti i Titani fedeli a Crono e i Giganti, e ottenuto il potere su tutti gli dèi, Zeus dovette occuparsi degli uomini. Gli antichi miti greci non dicono con esattezza come gli uomini furono creati e da chi, tutt'al più parlano di progenitori di vari popoli della Grecia scaturiti a un tratto dalla terra o dal mare. Più tardi, però, fra il VI e il V secolo prima di Cristo, si formò un mito molto bello, che ebbe presto grande diffusione.

Si raccontò dunque che il titano Giapeto ebbe quattro figli maschi: Menezio, Atlante, Promèteo e Epimèteo. I primi due seguirono il padre nella lotta dei Titani contro Zeus e furno duramente puniti: Menezio fu sprofondato nei regni infernali e Atlante fu condannato a sostenere la volta del cielo ai confini della terra, di fronte ai giardini dove le Esperidi custodivani i sacri aranceti.


Promèteo il preveggente, e Epitmèteo, lo sventato, non si misero in lotta, ma non erano amici del signore degli dèi. Promèteo in particolare, angosciato per tutto il dolore che vedeva diffuso nell'universo, sdegnava la tranquilla e soddisfatta potenza di Zeus.

Pensò allora di creare un essere capace di sentire come lui e di aspirare, come lui, a mete nobili e alte: impastò dell'argilla con le sue lacrime, plasmò con essa il corpo della prima creatura mortale e vi infuse l'anima. Così apparvero gli uomini sulla terra.

Subito Promèteo cercò di mettere inimicizia tra la razza umana e Zeus. E, quando si dovette stabilire quali parti degli animali sacrificati toccassero agli dèi e quali agli uomini, l'astuto titanide tagliò a pezzi un bue, ne nascose le carni sotto la pelle e ne avvolse le ossa nel grasso. Zeus, ingenuamente scelse queste ultime, ma, quando si accorse dell'inganno, infuiriato contro il genere umano tolse agli uomini il fuoco.

Iniziò così una lotta sul cui esito non ci si potevano fare illusioni: Promèteo riuscì a dare nuovamente il fuoco alle sue creature accendendo una torcia al carro del sole, ma, Zeus, più che mai sdegnato, avventò contro il rivale due mostri enormi, Bia, la violenza, e Cratos, la forza, lo fece portare prigioniero sui monti del Caucaso e là lo stesso Efesto lo incatenò a una rocia mentre un'aquila sarebbe scesa ogni giorno a rodergli il fegato che durante la notte ricresceva. Solo dopo molti anni Promèteo sarebbe stato liberato.




*Pandòra e le razze umane

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